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10. L’impresa di Fiume

Autore: Mario Lazzarini

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12 settembre 1919: al grido  di «Vittoria nostra non sarai mutilata» il Vate d’Annunzio e mille altri eroi accorsero verso il sogno di Fiume italiana e di una rivoluzione premonitrice.

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Descrizione

Periodi, episodi, momenti della storia attraverso immagini rare ed inconsuete, tratte da archivi personali, albums di famiglia, ricordi dei protagonisti, prima che si perdano e perché ne resti memoria.

Il patto di Londra, firmato il 26 aprile 1915, tra il governo italiano e le potenze dell’Intesa, garantiva all’Italia, in cambio dell’entrata il guerra contro gli Imperi Centrali, una serie di acquisizioni territoriali ai danni dell’Austria-Ungheria; tra queste, sull’opposta sponda adriatica, l’Istria, Zara e la Dalmazia, ma non Fiume, forse per volontà del nostro stesso governo.
Eppure Fiume era città italiana non meno di Gorizia, di Trieste, di Pola, di Zara, di Sebenico: italiani gli abitanti, la lingua, la cultura, la tradizione storica legata alla repubblica di Venezia. Tanti i volontari fiumani che caddero nella Grande Guerra per il Tricolore.
Così dopo Vittorio Veneto sembrò inevitabile che anche Fiume rientrasse fra i territori redenti: lo volevano i suoi cittadini che con un plebiscito votarono l’annessione al Regno d’Italia; lo volevano i 600.000 caduti per una vittoria che così sembrava mutilata; lo volevano quegli spiriti guerrieri, eroici e sognatori che furono i Legionari di d’Annunzio.
Ma non lo vollero gli Stati Uniti, che non avevano sottoscritto il patto di Londra e ai quali, in fondo, andava il merito della vittoria finale contro gli Imperi Centrali; né gli Alleati, che se a malincuore accettavano quanto sottoscritto, si rifiutavano di concedere anche il non pattuito.
Nella nuova Europa che si andava disegnando sulle ceneri degli sconfitti, nascevano nuovi stati, di cui bisognava tener conto, come il Regno Sloveno-Croato-Serbo (S.H.S. o Jugoslavia); e il principio di autodeterminazione dei popoli, proclamato dal presidente americano Wilson, li favoriva, osteggiando invece le pretese annessioniste italiane. Il gravoso debito finanziario contratto con gli Alleati, e le disastrose condizioni economiche postbelliche, costringevano il governo italiano a piegare la testa.
Nacque così quel profondo risentimento, quel mito della «vittoria mutilata», quel senso di rabbiosa impotenza, di dolorosa frustrazione che diede fuoco alla rivolta, sulle ali di fiamma delle parole di d’Annunzio, il poeta che si era fatto interprete e paladino dell’italianità di Fiume e del Carnaro. All’alba del 12 settembre 1919 d’Annunzio muoveva quindi da Ronchi con una piccola autocolonna di granatieri “disertori” e, superata la linea di armistizio, entrava in Fiume per annetterla al Regno d’Italia e mettere il mondo, e il nostro stesso governo, davanti al fatto compiuto.
Follia? Insensato rifiuto delle dure ma realistiche leggi della politica? Vanità di un poeta che amava essere Duce? Furore guerriero di combattenti non disposti a rientrare nei modesti panni della vita borghese? Forse anche, ma soprattutto disperato amor di Patria.

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17×24 cm

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